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Il tempio greco: seconda parte
Gli ordini architettonici e le loro proporzioni.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in La civiltà greca – Data: Novembre 14, 2022 0 commenti 11 minuti
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I templi greci erano molto simili fra di loro ma non uguali: alcuni particolari permettevano di raggrupparli in tre categorie, sulla scorta di tre stili, detti ordini architettonici: il dorico, lo ionico e il corinzio. Gli elementi architettonici che permettevano di identificare l’ordine a cui apparteneva il tempio erano i capitelli e il fregio della trabeazione.

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L’ordine dorico

Nel caso del dorico, la colonna era priva della base, e il fusto poggiava direttamente sul basamento del tempio, ossia il crepidoma, il cui pavimento era chiamato stilobate. Bisogna dire che gli antichi romani non capirono mai il perché di tale eccezione, ed essendo inclini alla semplificazione, quando adottarono l’ordine dorico lo munirono di base.

Ricostruzione della facciata di un generico ordine dorico.

Il fusto dorico è decorato da venti scanalature semicilindriche a spigolo vivo (ossia accostate l’una all’altra). Il capitello dorico presenta la parte inferiore, detta echìno, a bacile e una parte superiore, o àbaco, a forma di tavoletta. Le “forme doriche” della colonna hanno subìto nel tempo una certa evoluzione; la colonna dorica arcaica, per esempio, appare molto più tozza di quella classica: è più rastremata (a forma di bottiglia) e ha un echino decisamente più largo e schiacciato, che sembra quasi un cuscinetto. La colonna dorica del V sec. a.C., invece, ha un fusto tendenzialmente cilindrico e presenta un capitello minuto, con l’echino a forma di tazza troncoconica.

Colonna dorica arcaica, appartenente al Tempio di Hèra (Heràion), 650 a.C. ca. Olimpia.
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Colonna dorica particolare delle scanalature con gli spigoli vivi
Un capitello dorico classico.

Il fregio dorico è caratterizzato da due elementi posti in sequenza alternata per tutta la sua lunghezza: il triglìfo, una lastra rettangolare decorata da scanalature, e la mètopa, una lastra quadrata ornata da bassorilievi.

Ordine dorico particolare della trabeazione con l’architrave liscio in basso e il fregio, comporto da triglifi e metope (in questo caso lisce).

A causa dell’alternanza con i triglifi, le decorazioni delle metope dovevano privilegiare temi, religiosi o mitologici, che potessero narrarsi per singoli episodi, contenuti nello spazio ristretto di un quadrato. Affinché le scene risultassero visibili da lontano, le metope potevano accogliere, ovviamente, poche figure presentavano uno sfondo uniforme e possibilmente colorato. Anche i triglifi erano colorati, così come la cornice.

Schema dell’ordine dorico.
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Ricostruzione di alcuni elementi e della policromia del Tempio di Atena Aphàia a Egìna. China acquerellata di A. Blouet e A. Poirot.
Atena, Perseo e Medusa, mètopa del Tempio C di Selinunte, 560-550 a.C., 1,12 x 1,47 m. Palermo, Museo Archeologico Nazionale.

Il tempio dorico più famoso del mondo greco e dell’antichità tutta è il Partenone di Atene. In Italia, vantiamo il Tempio della Concordia ad Agrigento, molto ben conservato.

Callicrate e Ictino, Partenone, 447-438 a.C. Fronte posteriore. Marmo pentelico. Acropoli di Atene.

Lo ionico e il corinzio

L’ordine ionico, elaborato quasi nello stesso periodo del dorico, si affermò soprattutto in Asia Minore e nelle isole egee. A differenza di quella dorica, la colonna ionica presenta una base; il fusto è decorato da ventiquattro scanalature dagli spigoli smussati.

Colonna ionica particolare delle scanalature con gli angoli smussati.

Il capitello ha un echino decorato da òvoli (ornamenti simili a mezze uova) e lancette, e sovrastato da un pulvino che presenta due grandi volùte orizzontali, un tipico motivo architettonico a spirale. L’abaco sovrastante è piuttosto sottile.

Capitello ionico dell’Artemìsion di Efeso, VII sec. a.C. Londra, British Museum.
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Capitello ionico, ricostruzione di una possibile policromia originaria.

Il tipico capitello ionico non è a tutto tondo (come quello dorico) e presenta solo due facce principali parallele, una anteriore e un’altra posteriore. Ne consegue che i capitelli della prima e dell’ultima colonna di ogni facciata mostrano, nei prospetti laterali, il fianco della voluta. Venne quindi creato un capitello ionico angolare, a pianta quadrata, con quattro volute poste sulle diagonali e dotato di quattro facce uguali.

Capitello ionico angolare. Atene, Acropoli, Eretteo.

La trabeazione ionica presenta un architrave tripartìto, ossia diviso da tre fasce orizzontali leggermente aggettanti l’una sull’altra; il fregio, continuo e inizialmente liscio, fu in seguito decorato a bassorilievi. Per la decorazione dei fregi ionici, gli scultori disponevano di uno spazio lungo e ininterrotto; avevano così la possibilità di scegliere temi che privilegiavano l’idea del percorso, quali scene di cortei e di processioni.

Schema dell’ordine ionico.
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Ordine ionico particolare della trabeazione con l’architrave tripartito.
Tempio di Atena Nike sull’Acropoli di Atene, 425 a.C. ca.

L’ordine corinzio, originario, sembra, della città di Corinto da cui infatti deriva la denominazione, fu elaborato nel V sec. a.C., diffondendosi a partire dal secolo successivo. Il corinzio non ebbe grande fortuna presso i Greci, che lo consideravano troppo ricco e preferivano utilizzarlo negli interni con funzione decorativa.

Al contrario, fu molto apprezzato dai Romani che ne fecero largo uso. Il corinzio condivide con l’ordine ionico la base, il fusto della colonna e la trabeazione; i due ordini differiscono, in sostanza, soprattutto per il capitello. Questo, infatti, ha un echino a forma di campana rovesciata, dalla decorazione complessa, una vera e propria scultura; in basso, presenta un giro semplice o doppio di foglie stilizzate, ispirate a quelle di una pianta mediterranea che si chiama àcanto.

Foglia di acanto.
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Un capitello corinzio.

Da queste foglie emergono i caulìcoli, motivi costituiti da steli e viticci avvolti a tortiglioni, ripresi dalle volute che sorreggono, nei quattro angoli sporgenti, l’àbaco, il quale è ampio e presenta quattro lati concavi. Altre due volute decorative riempiono il vuoto lasciato sugli assi di ogni lato dell’echino, e sono coronate da un fiore che si pone al centro del lato dell’abaco.

Schema dell’ordine corinzio.
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Diverse sezioni di una colonna corinzia.

La costruzione del tempio

Come veniva costruito un tempio nell’antica Grecia? Sappiamo che i Greci furono dei costruttori molto abili. Edifici del genere, interamente realizzati in pietra o in marmo, richiedevano un’organizzazione di cantiere davvero straordinaria, anche se non erano di grandi dimensioni (almeno se paragonati ai grandiosi templi egizi e mesopotamici). I Greci non erano soliti utilizzare malte o leganti. Tutte le membrature architettoniche del tempio erano quindi assemblate a incastro e assicurate con particolari elementi metallici di sostegno, di varia forma e dimensione, detti grappe o graffature.

Ricostruzione di un particolare della struttura architettonica del Partenone di Atene.

Ogni pezzo veniva estratto dalla roccia, tagliato e sagomato al millimetro per eliminare gli spazi delle giunzioni. Una volta trasportato in cantiere, veniva sollevato con l’argano e accostato ai pezzi adiacenti con l’aiuto di leve. I vari pezzi venivano poi legati fra loro da graffature di ferro o di bronzo, mentre le giunzioni erano sigillate colandovi del metallo fuso. Con questi accorgimenti tecnici, i Greci rendevano le loro costruzioni resistenti ai terremoti e alle ingiurie del tempo.

Le colonne, date le dimensioni, non erano monolitiche, ma ottenute incastrando uno sull’altro pezzi diversi, che prendevano il nome di rocchi. Di ogni singolo rocchio bisognava calcolare a priori forma e dimensioni, considerando la posizione che questo aveva nella colonna. Si tracciava prima la circonferenza nel banco di calcare o di marmo della cava, poi lo si estraeva scavando “in trincea”, ossia tutto intorno, sino all’altezza voluta.

Rocchi che un tempo componevano una colonna, poi crollata.

Per fissare fra loro i rocchi si praticavano due fori quadrati o rettangolari al centro delle facce che dovevano sovrapporsi e combaciare; in essi erano inseriti tasselli di legno duro e perni che saldavano i blocchi, mantenuti poi stabili dal loro stesso peso.

Particolare del foro destinato a ricevere il tassello che teneva insieme due rocchi di colonna.

Solo quando tutta la colonna era montata gli scalpellini vi ricavavano le scanalature. Al contrario delle colonne, gli architravi erano monolitici. Tale vincolo di natura statica condizionava non poco le lunghezze degli interassi, che necessariamente dovevano essere contenute.

Le proporzioni

C’è un aspetto degli ordini architettonici che non dobbiamo ignorare, anche se non si riconosce facilmente a occhio nudo, e che è importante perché ci aiuta a capire bene la mentalità artistica dei Greci. Le misure dei templi non erano scelte a caso. Esistevano infatti delle regole che gli architetti erano tenuti a rispettare. Una volta scelta una unità di misura, detta modulo, la quale coincideva con il diametro di base del fusto della colonna, tutte le altre misure del tempio (altezza della colonna, distanza fra le colonne, larghezza del tempio, altezza del tempio), erano date da multipli o sottomultipli del modulo.

Così, per esempio, la colonna dorica arcaica era alta 4 moduli, quindi appariva piuttosto tozza. Dopo la fine dell’arcaismo, si codificarono in Grecia tre rapporti ideali tra modulo e altezza della colonna, e cioè dorico 1:6, ionico 1:8 e corinzio 1:10. Ciò spiega perché la colonna ionica appare più snella di quella dorica: a parità di base, essa è infatti più alta. Precisi rapporti matematici legati al modulo, o a suoi sottomultipli, regolavano anche l’altezza della trabeazione rispetto a quella delle colonne (che negli edifici classici era un terzo, 1:3), e la misura degli interassi, cioè delle distanze fra gli assi delle colonne (pari alla metà, 1:2); e ancora la profondità del portico, la larghezza della cella, l’altezza del frontone e ogni altra misura.

L’ordine dorico secondo Vitruvio illustrato da Claude Perrault, 1673.

La regola e l’eccezione

In sostanza, i templi erano costruiti secondo precise proporzioni. E ogni ordine architettonico aveva le sue. Perché gli architetti greci facevano tutto ciò? Per rendere il tempio perfetto: essi erano infatti convinti che la perfezione (senza la quale non c’è bellezza) è data solo dall’adozione di certe proporzioni matematiche.

Quali modifiche potevano subire gli ordini? I trattati che si sono occupati dell’argomento, e il più antico pervenutoci è quello di Vitruvio, il De Architectura scritto nel I secolo a.C., indicano regole molto precise, presentate come tassative. Lo studio dei monumenti greci, in realtà, mostra chiaramente che non solo i rapporti matematici degli ordini sono mutati nel tempo, e dunque hanno seguito un’evoluzione, ma che talvolta sono stati applicati con delle varianti anche in edifici tra loro contemporanei, a dimostrazione del fatto che, evidentemente, l’applicazione delle regole non era poi così rigorosa.

L’ordine ionico secondo Vitruvio illustrato da Claude Perrault, 1673.

Ciò non deve apparire come una contraddizione. Come spiega un grande storico dell’architettura del XX secolo, John Summerson, è un errore pensare agli ordini «come a una specie di scatola di costruzioni per bambini di cui gli architetti si sono serviti per risparmiarsi la fatica di esercitare la propria facoltà creatrice. È molto meglio considerarli espressioni grammaticali, che impongono una rigorosa disciplina, ma una disciplina nel cui ambito la sensibilità personale ha sempre un certo gioco, una disciplina, inoltre, che a volte può essere infranta da un’idea geniale e poetica».

L’ordine corinzio secondo Vitruvio illustrato da Claude Perrault, 1673.


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