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Il dipinto noto come L’urlo, o anche Il grido, fu realizzato dal grande pittore norvegese Edvard Munch (1863-1944) nel 1893. È certamente l’opera più celebre dell’artista e forse uno dei quadri più famosi al mondo. Fa parte del Fregio della vita, un insieme di tele riunite secondo quattro temi fondamentali: Nascita dell’amore, Sviluppo e dissoluzione dell’amore, Angoscia di vivere (cui appartiene L’urlo) e Morte. Il Fregio della vita fu esposto per la prima volta nel 1902, in occasione della quinta edizione della Secessione di Berlino.
Come altre opere di Munch, fu realizzato in più versioni, quattro per l’esattezza; quella del 1910 è conservata a Oslo, come la prima. L’unica che non apparteneva a un museo pubblico è stata venduta nel 2012 all’asta per quasi 120 milioni di dollari (oltre 91 milioni di euro, al cambio dell’epoca). La versione collocata alla Nasjonal Galleriet di Oslo, la più importante e famosa, fu rubata nel 2004 e ritrovata solo due anni dopo, danneggiata dall’umidità. Oggi, restaurata, si può nuovamente ammirare presso il museo norvegese.
Il protagonista del quadro si trova su un sentiero delimitato da una staccionata, una sorta di ponte dalla prospettiva claustrofobica, senza inizio né fine, che si affaccia sul mare di un fiordo nero come il petrolio. La sua ringhiera compatta è una balaustra che invece di proteggere imprigiona. L’uomo è solo, seguito a breve distanza da due figure oscure che sembrano quasi pedinarlo. Interrompendo il suo cammino, quest’uomo si ferma in preda a un attacco di panico e grida con tutte le sue forze, tenendosi le mani strette sulle orecchie per non ascoltare il suono della propria voce.
La figura dell’uomo urlante è proiettata in primo piano. Tuttavia, non occupa la posizione che ci attenderemmo se giudicassimo l’opera come se fosse un ritratto o un autoritratto. Nella versione del 1910 l’uomo si trova, infatti, al centro del quadro ma in basso, per poi deviare leggermente verso destra. La parte superiore della testa supera di poco la linea mediana della tela.
L’ovale della bocca, che costituisce il centro focale dell’attenzione, risulta invece spostato più in basso ed è lievemente decentrato. La scena è inoltre divisa in due dall’asse inclinato discendente della staccionata. Tale complessiva situazione di squilibrio compositivo provoca un marcato senso di disagio nell’osservatore. Le lunghe pennellate che formano il ponte su cui si trova il protagonista convergono verso un punto di fuga collocato sul bordo sinistro del quadro, creando un effetto a imbuto fortemente claustrofobico.
In questo dipinto, Munch portò la deformazione dell’immagine a livelli sconosciuti per l’epoca. Il suono lacerante prodotto dall’urlo distorce la faccia del protagonista, che diventa un teschio privo di capelli (ispirato, sembra, da una mummia che l’artista aveva visto al Musée de l’Homme di Parigi). Le narici sono ridotte a due fori; gli occhi, sbarrati, sembrano aver visto qualcosa di spaventoso; le labbra, nere, ricordano quelle dei cadaveri. Allo stesso modo, il corpo del personaggio appare serpentiforme, quasi senza scheletro o colonna vertebrale, ridotto a una misera parvenza ondeggiante. Anche l’uso della luce contribuisce ad accentuare l’espressività dell’opera: infatti, essa colpisce l’uomo urlante di fronte e in maniera violenta, come un flash, e conferisce all’evento rappresentato un senso di immediatezza.
Chi è il misterioso protagonista di questo quadro? E soprattutto, perché urla? Né uomo né donna, esso incarna l’essenza stessa dell’umanità sofferente e insicura. Alla fine, altri non è che l’artista medesimo, che si presenta a noi con un tragico autoritratto dai valori fortemente simbolici. È lo stesso Munch a identificarsi con il personaggio urlante, ricordando nel suo diario un episodio di vita vissuta che avrebbe ispirato il dipinto: «Il sole stava calando sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava la natura.
Un grido forte, terribile, acuto, che mi è entrato in testa, come una frustata. D’improvviso l’atmosfera serena si è fatta angosciante, simile a una stretta soffocante: tutti i colori del cielo mi sono sembrati stravolti, irreali, violentissimi. […]. Anch’io mi sono messo a gridare, tappandomi le orecchie, e mi sono sentito un pupazzo, fatto solo di occhi e di bocca, senza corpo, senza peso, senza volontà, se non quella di urlare, urlare, urlare. […] Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io».
Secondo tale testimonianza, il soggetto dell’opera, cioè Munch, griderebbe nel vano tentativo di sovrastare un rumore assordante, appunto l’urlo della natura che da veggente riesce a sentire ma che non può sopportare. Il paesaggio, infatti, sembra creare una corrente gigantesca la quale trascina il mare e il cielo in un gorgo che tende a rifluire nella bocca dell’uomo. Tuttavia, è vero anche il contrario: quest’urlo nasce dall’anima dell’artista, il quale sembra presagire il crollo del suo mondo, ed è un urlo così potente da coinvolgere tutto il paesaggio intorno, che difatti sembra come scosso da un terremoto tremendo, e si dilata sul tramonto sanguinante, quasi a costituire le linee di forza di un campo magnetico. È come se l’urlo riuscisse a espandersi nel cielo e nell’acqua, creando un’onda d’urto dagli effetti devastanti.
La scena diventa quindi metafora della disperazione che nasce nell’individuo, travolgendo tutto, ma poi torna a lui, distruggendolo. I due personaggi a sinistra, che continuano a camminare, inconsapevoli o indifferenti alla disperazione del protagonista, sono invece metafora della falsità che regola i rapporti umani.
Guardando il quadro con attenzione, possiamo riconoscere alcuni scampoli di realtà: le colline di Ekeberg sulla destra, le barche sullo sfondo, il mare racchiuso nel fiordo. Ma la pittura di Munch non è realistica né vuole esserlo: è uno strumento formale, necessario all’artista per dilatare, in onde successive, in un crescendo continuo, le proprie incontenibili emozioni. Linee, forme, colori, stesi a lunghe pennellate, accostamenti cromatici hanno tutti valenza simbolica e puntano unicamente all’affermazione di valori espressivi: non vogliono riprodurre le sembianze del mondo ma vogliono suggerire uno stato emotivo di angoscia, sono le dirette emanazioni di un’anima disperata.
Lo ha detto lo stesso Munch: «ho fatto urlare i colori», «ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura». «Attraverso, l’arte cerco di vedere chiaro nella mia relazione con il mondo, e se possibile aiutare anche chi osserva le mie opere a capirle, a guardarsi dentro». Per lui la pittura ebbe sempre un valore introspettivo e una funzione terapeutica: «ho sentito parlare delle teorie sulla psiche umana sviluppate dal dottor Freud, a Vienna. Io avverto un profondo senso di malessere, che non saprei descrivere a parole, ma che invece so benissimo dipingere». Ma l’opera vuole impattare anche con lo spettatore, vuole aiutarlo a guardarsi dentro.
Si questo dipinto è la espressione della angoscia, indefinibile a parole. Come si può descrivere la angoscia? Non si può a parole. Lui la ha benissimo espressa in questo dipinto che io non riesco a guardare per più di qualche secondo
fantastica lettura dell’opera sia dal punto di vista compositivo con particolare attenzione ai segni del linguaggio visuale che nell’analisi espressiva.-
Grazie mille per l’apprezzamento