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L’arte astratta è quella che, con diverse motivazioni ideologiche e attraverso differenti scelte linguistiche, rifiuta la rappresentazione della realtà e orienta la sua ricerca in una direzione non-figurativa, al fine di ottenere una forma pura. Vasilij Kandinskij e l’Astrattismo lirico.
L’Astrattismo si affermò (quasi contemporaneamente in diverse parti d’Europa) attorno al 1910, quando nacquero le sue prime formulazioni teoriche e pittoriche; comunque, fu solo tra il 1910 e il 1914 che acquistò una sua fisionomia specifica, entrando nella storia dell’arte moderna come un movimento internazionale.
Il problema delle date è piuttosto complesso; non è facile, infatti, stabilire chi sia stato il primo artista a rompere con il tradizionale linguaggio figurativo e realizzare un quadro o una scultura totalmente astratti. Tradizionalmente, il padre dell’Astrattismo è considerato il pittore russo Vasilij Kandinskij. Alcuni studiosi, tuttavia, assegnano questo ruolo al pittore francese cubista, e poi dadaista, Francis Picabia (1879-1953), di cui esistono alcuni disegni e dipinti astratti anteriori al 1910.
Resta il fatto che, al di là del primato della prima opera astratta, il ruolo svolto da Kandinskij nell’affermazione, nella teorizzazione e nella diffusione dell’astrattismo nel mondo non può essere discusso.
La nascita dell’Astrattismo fu la conseguenza inevitabile di alcune premesse storiche ed estetiche, che si determinarono tra la fine del XIX secolo e l’inizio del Novecento. Tra queste, i contributi francesi risultano fondamentali; si può dire che l’arte astratta abbia proseguito due linee distinte di ricerca, entrambe in chiave antinaturalistica.
La prima fu anticipata da Gauguin, che aveva affidato al colore il compito di esprimere «non quello che accade sotto gli occhi ma ciò che riposa nel centro misterioso del pensiero». Anche Matisse e i fauves, proprio intorno al 1910, stavano cercando di ricreare «un’armonia parallela alla natura» con le loro ritmiche accensioni cromatiche. La seconda linea era invece ispirata alla poetica di Cézanne, l’artista che aveva elaborato il dato naturale attraverso operazioni di scomposizione analitico-geometrica delle figure e ricomposizione sintetica delle forme. Cézanne aveva, peraltro, ispirato la visione razionale dei cubisti, i quali erano giunti alla non riconoscibilità dell’oggetto rappresentato.
Questi filoni alternativi di ricerca approdarono alla cosciente formulazione di due fondamentali concezioni dell’arte astratta. Kandinskij e Klee, esponenti del gruppo Der Blaue Reiter, svilupparono un astrattismo lirico e spiritualistico, esaltando la comunicazione intersoggettiva, i rapporti arte-musica, la psicologia dell’arte e la simbologia del colore. L’arte astratta, secondo Kandinskij, non ha il compito di farci «sapere» ma di farci «sentire» qualcosa, «con anima aperta», aiutandoci a cogliere una dimensione profonda della realtà, perché, come scrisse Klee, «questo non è l’unico mondo possibile».
Al contrario, Malevič (fondatore del Suprematismo in Russia) e Mondrian (leader del gruppo De Stijl in Olanda) si sarebbero orientati verso criteri razionalistico-matematici, dai quali sarebbe derivata una rigorosa riflessione sulla linea e sulla forma geometrica.
Il pittore russo Vasilij Kandinskij (1866-1944) è riconosciuto come il fondatore dell’Astrattismo “lirico”, una forma d’arte tesa a rappresentare, come dicevamo, le sensazioni «interiori ed essenziali» dell’artista, ben lontana da quell’Espressionismo che si serviva della deformazione fisica per raggiungere i propri risultati (ma non per questo meno espressiva).
Convinto che l’arte non dovesse aggravare le circostanze della realtà ma liberarne l’intima verità, Kandinskij (ricordato come un uomo amabile, coltissimo, equilibrato e molto carismatico) si oppose a quella brutalità e violenza esteriore del metodo propugnato dalla Brücke. Non a caso, la sua pittura (come quella di Marc e di Klee) è stata anche definita Espressionismo lirico. Secondo il suo pensiero, tutta la storia dell’umanità poteva interpretarsi come una marcia ascetica diretta dal materialismo allo spiritualismo, dal male al bene, dal buio alla luce, dall’angoscia alla felicità.
L’arte non poteva intraprendere un cammino diverso: essa doveva innalzarsi dall’umiliante impedimento della realtà materiale per conquistare la libertà della visione pura. Solo raggiungendo questo fondamentale obiettivo, «l’opera d’arte diventa soggetto».
Nel 1896, dopo aver abbandonato una promettente carriera di giurista e aver rifiutato un posto di docente universitario in Estonia, Kandinskij si trasferì in Germania, per studiare arte presso l’Accademia di Monaco. Qui, divenne allievo del simbolista e secessionista Franz von Stuck. In questa prima fase della sua carriera artistica, Kandinskij dipinse soprattutto soggetti fantastici, derivanti dalla tradizione russa e dalle leggende del Medioevo tedesco.
Stilisticamente, fu affascinato dalle opere neoimpressioniste, come dimostra Bellezza russa in un paesaggio, del 1904. In questo quadro, la figura della donna vestita con gli abiti della tradizione russa, il prato in primo piano e il paesaggio sullo sfondo, sono costruiti con l’accostamento di macchie di colore compatto. Le forme sono pienamente riconoscibili ma l’immagine complessiva è fortemente semplificata e la scena appare fiabesca e irreale.
Tra il 1906 e il 1907, Kandinskij trascorse un anno a Parigi, entrando a contatto con i fauves. Nel 1908, tornato in Germania, acquistò una casetta a Murnau, in Alta Baviera. Iniziò una fase di intensa sperimentazione, accostandosi alla pittura di Gauguin e di Matisse; in un dipinto come Paesaggio a Murnau I, del 1909, il riferimento al dato reale appare molto più remoto, nonostante l’evidenza delle forme sia ancora presente: riconosciamo infatti la strada in primo piano, i contadini, gli alberi, la casa e le montagne all’orizzonte.
Tuttavia, le figure sono già estremamente semplificate e i colori, compatti e uniformi, non sono naturalistici. Il quadro non attrae dunque per il paesaggio che rappresenta ma per l’immagine in sé stessa, per la vivace e brillante composizione di forme e colori. In questa prima fase di elaborazione teorica, l’artista riteneva che si potesse guardare la realtà “astrattamente”, ossia anche ignorando la funzione quotidiana delle cose.
La svolta avvenne nel 1909. Si racconta che un giorno Kandinskij abbia guardato un suo quadro casualmente rovesciato e trovandolo «indescrivibilmente bello, sfavillante di fuoco interiore», abbia esclamato: «Ora so esattamente che l’oggetto nuoce ai miei quadri». Iniziò così un periodo di intensa sperimentazione, con esiti alterni; comunque, a partire da quell’anno, Kandinskij si distaccò molto rapidamente dalla figurazione e dalla ricerca di un illusionismo spaziale.
L’opera chiamata Primo Acquerello astratto, che l’artista dichiarò di aver dipinto nel 1910 (ma che la critica, scettica, tende a datare 1912), segna ufficialmente l’esordio della sua esperienza non figurativa e dunque dell’Astrattismo. In quest’opera, dove l’artista si servì della tecnica dell’acquerello che gli consentiva una maggiore libertà di espressione, non esiste il soggetto, neppure preso a pretesto: nulla è riconoscibile.
Ispirandosi agli scarabocchi infantili che tanto amava, l’artista compose in un fondo lattiginoso semplici macchie e segni colorati di rosso, verde e azzurro, in apparenza casuali ma in realtà codificati secondo una sua logica.
Secondo Kandinskij, il pittore può comunicare per mezzo di un linguaggio nuovo, diretto e immediato, senza adottare il filtro della realtà e della vita vera. E questo, combinando i colori con le forme. L’opera astratta, dunque, costituisce un mondo a sé, appartiene a un universo autonomo che risponde a leggi proprie; non nasce in funzione di un contenuto: essa stessa costituisce un contenuto nuovo e agisce sullo spettatore suscitando nella sua interiorità vaste e profonde “risonanze” spirituali.
Con la pura e misteriosa forza del colore, liberato dalla figurazione naturalistica, il quadro può agire sull’anima, facendone vibrare l’essenza segreta. Non a caso, Kandinskij intitolò i suoi quadri degli anni successivi con termini che facevano direttamente riferimento alla musica: “impressione”, “improvvisazione”, «composizione”.
Nel 1911, assieme al tedesco Franz Marc, Kandinskij fondò a Monaco il movimento espressionista Der Blaue Reiter. Nello stesso anno, l’artista, che era anche un finissimo teorico, pubblicò una delle sue opere fondamentali, Lo spirituale nell’arte. In questo saggio, egli affermò che l’arte nasce dal «principio della necessità interiore» e che la pittura astratta può adottare il colore come un mezzo privilegiato per esercitare un influsso diretto sull’anima dello spettatore.
Sulla scorta delle teorie di Kandinskij, il colore si può dividere in due fondamentali categorie: il caldo e il freddo. Allo stesso modo, esiste una simbologia psicologica dei colori. Il rosso e il giallo, per esempio, rimandano a sentimenti positivi, a stati d’animo gioiosi, sono simboli di forza, passione, vita, gioia; il blu e l’azzurro simboleggiano invece la meditazione, sono i colori della tristezza e della malinconia.
Scrisse Kandinskij che «il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è il pianoforte dalle molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, mette preordinatamente l’anima umana in vibrazione». Insomma, un pittore può creare un quadro allo stesso modo in cui il musicista compone una melodia. Secondo la loro appartenenza alle diverse intonazioni calde o fredde, i colori possono essere accostati a suoni particolari e determinare di conseguenza certe “risonanze” nell’anima. Per esempio, il giallo è dotato di una forza prorompente (Kandinskij lo paragona al suono di una tromba), il blu è un colore spirituale (e rimanderebbe al suono di un violoncello) mentre il rosso è forte e vitale (e richiamerebbe il suono di una tuba).
Altri accostamenti sono arancione-campana, verde-violino, viola-fagotto, azzurro-flauto. Il bianco e il nero sono non-colori e dunque sono associati al silenzio. Tuttavia, mentre il silenzio-bianco è come la pausa tra una battuta e l’altra di un’esecuzione musicale, e dunque prelude all’arrivo di altri suoni, il silenzio-nero è silenzio di morte, la fine di una esecuzione musicale.
La teoria di Kandinskij introduce anche la nozione di “movimento” dei colori stessi: movimenti orizzontali, centrifughi e centripeti. Per esempio, il giallo sarebbe dotato di un movimento orizzontale che lo fa avanzare verso lo spettatore, in quanto si allarga verso l’esterno, mentre l’azzurro sembra indietreggiare dallo spettatore perché si avvolge su sé stesso.
Questo dinamismo dei colori è tuttavia connesso alla forma. Il colore illimitato, ovvero privo di forma, è soltanto concepibile, non lo si può realizzare sulla tela. Nel quadro, il colore «deve venire limitato sulla superficie, delimitato da altri colori, che sono là ineluttabilmente e che in nessun caso è dato evitare». Tra forma e colore esiste dunque un’influenza reciproca inevitabile e tra singole forme e singoli colori si stabiliscono rapporti privilegiati. Per esempio, il giallo si accompagnerebbe alla forma del triangolo, il blu al cerchio e il rosso al quadrato.
Kandinskij applicò questa sua teoria in molti capolavori, tra cui Quadro con arco nero, del 1912. Questo quadro esemplifica in modo magistrale la complessa teoria sulla forma e sul colore maturata dall’artista durante la prima fase della sua carriera. Il dipinto, radicalmente astratto, presenta forme che non possono ricondursi al contesto della realtà obiettiva.
Essenzialmente, esso è composto da tre grandi macchie di colore che si stagliano su un fondo molto chiaro: due in basso (una rossa a destra e l’altra blu a sinistra), in parte allineate, e una in alto, rosso-violetta. Queste macchie sono legate, idealmente, da elementi lineari neri, che spesso si intersecano fra loro. In particolare, le due macchie cromatiche inferiori sono collegate da un arco ogivale nero, che si sovrappone alla terza macchia.
Com’è noto dalla teoria dei colori, la somma di rosso e blu (colori primari) determina il viola (colore secondario); Kandinskij avrebbe spiegato questa fusione individuando, nel blu e nel rosso, caratteri contrapposti, capaci di originare nel viola un contatto equilibrante non solo di natura fisica ma anche interiore ed espressiva. Il blu è profondo e freddo e ha carattere centripeto (infatti nell’opera la macchia blu sembra retrocedere e dirigersi verso il centro).
Kandinskij amava molto il blu; lo considerava il colore del cielo quando è chiaro, della notte e del mare quando è intenso; lo reputava capace di sviluppare «l’elemento della quiete», di spingere l’uomo verso l’infinito. Il rosso, al contrario, è caldo, dinamico e ha carattere centrifugo (nel quadro, infatti, la macchia rossa sembra avanzare, dirigersi radialmente verso l’esterno).
Il rosso è il colore del fuoco e del sangue, il colore della vitalità e dell’azione. Rispetto al rosso concreto e al blu soprasensibile, qui posti a confronto diretto, la macchia violetta posta in alto al centro esercita un’azione equilibrante.
L’arco nero, che attraversa questa forma cromatica di sintesi, è un dinamico collegamento fra due caratteri opposti; parte dalla macchia blu, si flette nella macchia violetta e scende per colpire, come una freccia, il cuore della macchia rossa. Indica dunque l’azzeramento ottenuto per mutuo contrasto: il nero, infatti, è assenza totale di colore e di luce.
Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, Kandinskij si trasferì in Russia, dove rimase fino al 1921; alla fine di quell’anno, fece ritorno in Germania, scegliendo come nuova sede Berlino. Tra il 1922 e il 1933, Kandinskij entrò come insegnante al Bauhaus, un’importantissima scuola d’arte attiva in Germania dal 1919 al 1933; in questo periodo, l’artista intraprese le sue ricerche nel campo della geometrizzazione costruttivista, culminate nel 1926 in un suo nuovo testo, che sarebbe diventato capitale per la teoria dell’arte: Punto, linea, superficie.
Questo saggio fu ispirato dai corsi che Kandinskij tenne al Bauhaus e nei quali analizzò la natura e le proprietà degli elementi fondamentali della forma. Concepito come una ideale prosecuzione del suo trattato precedente, Punto, linea, superficie è l’espressione più matura e articolata del pensiero di Kandinskij. Il punto, secondo l’artista, è statico; la linea, al contrario, è dinamica.
Tanto più essa è variata, tanto più cambiano le tensioni spirituali che questa suscita nell’osservatore: più drammatiche se è spezzata, più liriche se è curva. La superficie, infine, è il supporto materiale destinato a ricevere il contenuto dell’opera. Seguendo le marcate tendenze razionaliste di questa nuova fase teorica dell’opera di Kandinskij, definita dalla storiografia “periodo freddo”, l’artista pervenne a un estremo rigore formale, che si manifestò attraverso la scelta di figure geometriche ed elementari.
Nelle tele dipinte dopo il 1925, le sue forme astratte si fecero lucide, nitide, cristalline. I colori compatti furono chiusi entro margini decisi e il valore del segno apparve più marcato. «È come un pezzo di ghiaccio entro cui brucia una fiamma» scrisse Kandinskij in una lettera del 1925, alludendo alla sua pittura.
In Alcuni cerchi, la tela a sfondo nero è piena di forme circolari che sembrano fluttuare nel vuoto. In particolare, notiamo che un grande cerchio blu, che predomina sugli altri per grandezza, si sovrappone a un cerchio bianco sfumato nei contorni, mentre il cerchio nero interno a quello blu sembra richiamare tutti gli altri cerchi più piccoli. Sovrapponendosi e intersecandosi fra di loro questi cerchi mantengono, nella semplificazione formale estrema, una grande tensione espressiva pervasa da intenso lirismo.
Con l’instaurazione della dittatura nazista, Kandinskij fu costretto ad abbandonare la Germania e a trasferirsi in Francia, in un sobborgo di Parigi. Alla celebre Mostra dell’Arte Degenerata, voluta da Hitler nel 1937, furono esposti quasi 50 suoi dipinti, poi venduti a basso costo ad acquirenti stranieri.
satraordinari
Complimenti, da non esperta, ho trovato l’articolo molto chiaro ed esauriente.