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Figlio di un pastore calvinista, Vincent Van Gogh (1853-1890) nacque in un paesino olandese, esattamente un anno dopo, perfino lo stesso giorno, del suo fratellino nato morto, del quale ereditò anche il nome. Una vicenda che segnò la sua vita. Crebbe con la convinzione di essere al mondo per sostituire qualcun altro. Ogni giorno, tornando a casa, passava davanti a una tomba che portava il suo nome, triste presagio di una vita infelice. A scuola non andava bene.
Provò a lavorare come gallerista ma fu licenziato. Provò a diventare predicatore, come il padre, ma fallì. Litigò con i genitori che lo cacciarono di casa. Unico riferimento di Vincent rimase sempre il fratello Theo, un uomo perbene di quattro anni più giovane che lavorava a Parigi come gallerista. Fu proprio Theo a consigliargli di dedicarsi alla pittura. Vincent seguì il suo consiglio e scoprì che l’arte poteva diventare la propria ragione di vita.
Tra il 1884 e il 1885, in Olanda, Van Gogh scelse di orientarsi verso un realismo carico di contenuti sociali. La sua poetica fu subito ben definita: accentuare l’espressione attraverso la deformazione e usare il colore in senso espressivo e non naturalistico, nella consapevolezza che il colore esprime qualcosa per sé stesso. L’espressione, secondo l’artista, consisteva nel «far uscire fuori» dalle cose il loro significato più autentico, senza tuttavia ignorare la verità del reale: se l’artista avesse dimenticato «che la natura esiste», sarebbe venuta meno «una solida base» per la sua pittura.
Durante la sua fase realista, o olandese, Van Gogh eseguì una quarantina di ritratti di contadini. In queste opere, realizzate con pennellate decise che sottolineano le irregolarità dei volti, donne e uomini furono ritratti con colori scuri e terrosi, funzionali a una resa quanto più realistica delle scene. Il capolavoro della prima fase “realista” è I mangiatori di patate, un’opera in cui una famiglia contadina consuma una povera cena, composta da un unico piatto di patate, posto al centro della tavola, e da caffè nero. Si coglie nella scena una tenera atmosfera familiare.
Nel 1886, Vincent si trasferì a Parigi, dove conobbe gli impressionisti e alcuni pittori della sua generazione. Ammirando la luminosità e la chiarezza delle tele impressioniste e neoimpressioniste accolse il colore nei suoi quadri ma usò le pennellate per lasciare spazio alle proprie emozioni, per obbedire più al sentimento che all’occhio e alla ragione. Van Gogh elaborò una tecnica che prevedeva l’uso di pennellate dense, larghe, corpose che sembrano avere un valore in sé.
Sperimentando l’accostamento dei colori complementari, l’artista plasmò le forme direttamente con il colore, producendo ritratti, nature morte e paesaggi caratterizzati da un marcato antinaturalismo. Persone, prati, marine, cieli, oggetti e scene d’interni diventano le consapevoli trasposizioni simboliche di stati d’animo e di una situazione esistenziale. Sono metafore dell’anima.
L’artista obbligò la natura a piegarsi, a modellarsi secondo l’andamento del suo pensiero, a seguirlo nelle sue impennate sentimentali; egli lasciò che la sua inquietudine gli guidasse la mano sulla tela. Deciso a indagare a fondo sulla realtà, Van Gogh volle andare oltre la superficie, oltre le percezioni immediate con cui normalmente conosciamo il mondo: volle, insomma, conquistare l’intima essenza delle cose. Attraverso questo arbitrio, Van Gogh fece cadere la legge del colore naturalistico degli impressionisti. Il colore assunse per Van Gogh il valore di una metafora, acquistò una capacità di persuasione autonoma.
Nel 1888, Van Gogh lasciò Parigi per stabilirsi ad Arles, dove dipinse capolavori come i Girasoli ma soprattutto il Caffè di notte e la Camera da letto.
Nel Caffè di notte la scena è caratterizzata da colori accesi ed esasperati e mostra la desolazione del locale semivuoto: pochi clienti ubriachi sono accasciati sui tavolini; solo una coppia, sul fondo, è intenta a conversare. Al centro del dipinto, il padrone del locale appare immobile mentre guarda il tavolo da biliardo. Nel quadro, Van Gogh intese comunicare come il caffè sia un luogo dove ci si può rovinare, diventare folli, commettere un delitto e, attraverso i colori, volle richiamare l’immagine dell’antro dell’Inferno, esprimere qualcosa come la potenza delle tenebre di uno scannatoio.
Nella Camera da letto, al contrario, Van Gogh volle comunicare un senso di riposo assoluto, suggerire la calma del sonno; per questo i muri sono di un viola pallido. Tuttavia, anche questo quadro trasmette una sensazione di vertigine claustrofobica. L’ambiente è mosso e traballante e appare trasfigurato dall’uso personalissimo della prospettiva: le linee prospettiche del pavimento, spezzate da alcune commettiture trasversali, i segni scuri che fanno da contorno ai mobili, l’uso di colori senza ombre creano una tensione da cui l’osservatore ricava un insopprimibile senso di angoscia.
I suoi straordinari Girasoli non sono semplici nature morte ma un’efficace metafora del sole, simbolo dell’energia creatrice dell’artista e della sua forza vitale. Ed è proprio la carica luminosa del sole ad entrare dentro i colori dei suoi quadri, ad amplificarne l’impatto visivo, a farli esplodere in un mondo di luce, che non arriva dall’esterno ma sembra brillare dall’interno delle opere stesse.
La strada intrapresa da Van Gogh per essere l’artista che volle essere fu tutta in salita e gli costò fatica, amarezza, frustrazioni. Oggi la critica e il pubblico si inchinano, e giustamente, davanti a un uomo che nei pochi, folgoranti anni della sua carriera dovette invece fronteggiare lo scetticismo, il sarcasmo se non addirittura il disprezzo degli altri. Ma Vincent si difese con passione: «Sono fermamente convinto di essere, nonostante tutto, sulla buona strada, quando voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo, per preoccuparmi di quello che gli altri dicono di me. […] Credo che molto probabilmente più d’uno rimpiangerà un giorno quello che ha detto di me e di avermi ricoperto di ostilità e di indifferenza».
Fallita la convivenza con l’amico Gauguin, Van Gogh precipitò nella disperazione. Fu ricoverato prima ad Arles e poi nella clinica psichiatrica di Saint-Rémy, dove dipinse Notte stellata: un paesaggio notturno ottenuto attraverso l’uso di segni violenti, quasi rabbiosi, e capace di esprimere una grande vitalità drammatica.
Nel 1890, Vincent si trasferì ad Auvers-sur-Oise, dove dipinse La chiesa di Auvers con forme fluide e ondulate, dall’effetto vagamente ipnotico.
Una delle sue ultime opere, realizzata pochi giorni prima di morire, fu Campo di grano con volo di corvi. Questo quadro è considerato come il suo testamento spirituale. Un campo di grano giallissimo appare scosso dal vento, mentre uno stormo di corvi neri si leva in un basso volo scomposto. Tutta la scena è composta da pennellate rabbiose. Una tempesta, quasi presaga di lutto, incombe su questo paesaggio, anticipata da nubi nere e minacciose: una drammatica premonizione della sua vita che stava per concludersi.