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La Volta della Sistina di Michelangelo
Un racconto grandioso della Genesi.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in L’età rinascimentale: il Cinquecento – Data: Marzo 29, 2022 4 commenti 17 minuti
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Nel 1508, papa Giulio II, reputando necessario un ampliamento del già ricchissimo ciclo pittorico della Cappella Sistina (commissionato alla fine del secolo precedente da suo zio Sisto IV), incaricò il grande Michelangelo (1475-1564) di affrescarne la volta, all’epoca decorata con un semplice cielo stellato realizzato da Piermatteo d’Amelia. Si trattava di una impresa titanica, perché questa copertura si estende per 680 metri quadrati. Pur essendo fortemente restio ad assumere incarichi come pittore, l’artista alla fine accettò.

La Cappella Sistina in Vaticano prima del 1508. Incisione su disegno di G. Tognetti, XVIII sec.

Michelangelo e Giulio II

Michelangelo aveva ragione ad essere titubante, e alcune delle sue giustificazioni erano più che ragionevoli. Non aveva mai dipinto ad affresco, tecnica che richiedeva una sapienza straordinaria, sicché temeva di non riuscire nell’impresa e di rovinare la propria reputazione. Lavorare su una superficie orizzontale (e così ampia, per giunta) a 21 metri dal suolo aumentava, oggettivamente, i rischi di fallimento. Infine, sarebbe stato necessario organizzare un lavoro di équipe, che al Buonarroti non era affatto congeniale. L’artista, infatti, essendo fedele alla filosofia neoplatonica, riteneva che ogni opera d’arte dovesse appartenere intimamente al proprio creatore, che quindi si doveva assumere la responsabilità della sua materiale realizzazione, senza delegare alcuno ad eseguirne delle parti (come si era soliti fare nei lavori di bottega). E dipingere una superficie così vasta, da solo, era impresa che ben pochi avrebbero accettato di affrontare.

Cappella Sistina, veduta d’insieme. Roma, Palazzi Vaticani.
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A Giulio II, però, non si poteva dire di no. Il pontefice, un sessantenne dallo spirito guerriero e dal carattere di ferro, era proverbiale per gli scatti d’ira che lo assalivano quando qualcuno osava contraddirlo. E non a caso, i suoi rapporti con Michelangelo, che tendenzialmente non si piegava ai voleri di nessuno, furono sempre molto burrascosi.

Più nell’apparenza, però, che nella sostanza. I due giganti erano fatti l’uno per l’altro. Giulio II aveva una ammirazione sconfinata per Michelangelo e l’artista sapeva bene di aver trovato nell’energico pontefice il suo committente ideale. Gli scontri verbali e anche fisici fra i due (pare che il papa, una volta, abbia preso lo scultore a bastonate) furono solo il vivace corollario di un rapporto privilegiato. Per tornare alla Sistina, Giulio II trovò presto la strada per ammorbidire il suo ostinatissimo artista: una parcella da capogiro, argomento cui Michelangelo fu sempre molto sensibile.

I collaboratori

L’artista chiamò da Firenze alcuni collaboratori che potessero aiutarlo almeno nelle questioni più pratiche: Piero di Jacopo Rosselli, che si occupò dei ponteggi e della preparazione della superficie, e poi Francesco Granacci, Giuliano Bugiardini, Aristotile da Sangallo e Jacopo di Lazzaro detto l’Indaco Vecchio. Tuttavia, nella sostanza, la realizzazione delle scene e delle figure rimase alla responsabilità del Buonarroti, che dal 1511 congedò tutti quanti rimanendo sui ponteggi con pochi garzoni.

Il sonetto

Michelangelo pagò quindi un prezzo personale altissimo al compimento di questa impresa: quattro anni di inesausto lavoro sostanzialmente in solitaria gli minarono gravemente il fisico, lasciandogli acciacchi permanenti da cui non si sarebbe più liberato. L’artista infatti non dipinse la volta da sdraiato, come alcuni film hanno falsamente mostrato, ma sempre in piedi e con il capo reclinato all’indietro: una posizione davvero scomodissima. Michelangelo stesso lo ricorda in un suo celebre sonetto in cui scrive:

I’ho già fatto un gozzo in questo stento,
coma fa l’acqua a’ gatti in Lombardia
o ver d’altro paese che si sia,
c’a forza ’l ventre appicca sotto ’l mento.

La barba al cielo, e la memoria sento
in sullo scrigno, e ’l petto fo d’arpia,
e ’l pennel sopra ’l viso tuttavia
mel fa, gocciando, un ricco pavimento.

E’ lombi entrati mi son nella peccia,
e fo del cul per contrapeso groppa,
e’ passi senza gli occhi muovo invano.

Dinanzi mi s’allunga la corteccia,
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com’arco sorïano.

Però fallace e strano
surge il iudizio che la mente porta,
ché mal si tra’ per cerbottana torta.

La mia pittura morta
difendi orma’, Giovanni, e ’l mio onore,
non sendo in loco bon, né io pittore.

Insomma, Michelangelo sosteneva di essere teso come un arco, che gli era venuto il gozzo, che si sentiva il ventre in gola, che i lombi gli erano entrati nella pancia, che non vedeva dove metteva i piedi e che il colore dal pennello gli gocciolava sul viso. Abbiamo un piccolo schizzo dell’artista in cui si ritrae mentre è al lavoro.

Michelangelo si ritrae nella posizione in cui era solito dipingere la volta. Firenze, Casa Buonarroti.

Le ragioni dell’incarico

C’è da chiedersi, legittimamente, perché il papa, disponendo di schiere di artisti eccellenti, avesse deciso di affidare un incarico così difficile proprio a Michelangelo, il quale mancava di esperienza nella pittura in generale e nell’affresco in particolare. Certamente, il pontefice non intendeva mettere in difficoltà il proprio campione e meno che mai rischiare il fallimento di una impresa tanto importante quanto costosa. Dobbiamo concludere che Giulio II, acutissimo nei suoi giudizi e finissimo intenditore d’arte, sapeva bene che Michelangelo gli avrebbe assicurato risultati di originalità che nemmeno Raffaello, così moderato nel suo ineccepibile classicismo, avrebbe potuto garantirgli. Insomma, quello del papa fu un investimento e un rischio calcolato e i risultati gli diedero ampiamente ragione.

L’artista che ostinatamente si definiva solo scultore, e che tutti consideravano tale, bruciò in un sol colpo «l’intera tradizione iconografica della pittura quattrocentesca, per imporre una perfetta macchina scenica sottomessa alle sue personali e originali pulsioni creative» (A.Forcellino), tanto da far sembrare vecchi e datati persino i magnifici affreschi delle pareti, conclusi da illustri colleghi, tra cui Perugino e Botticelli, solo pochi anni prima. La pittura rinascimentale e anche l’arte dei secoli successivi non sarebbero state più le stesse.

Cappella Sistina, veduta verso l’altare. Roma, Palazzi Vaticani.

Una complessa iconografia

I dipinti della copertura, nelle intenzioni del committente, avrebbero dovuto mantenere una relazione con le Storie sottostanti, quelle delle pareti, dedicate a Mosè e a Cristo. Per questo motivo, Michelangelo, probabilmente, si consultò con i teologi della corte papale. L’artista elaborò, alla fine, un progetto di grande complessità concettuale e iconografica. La volta, strutturalmente articolata in una complessa architettura dipinta, è scandita da cinque arconi in senso trasversale e divisa in tre parti in senso longitudinale. Al centro si dispiegano le Scene della Genesi, fondamento della rivelazione cristiana: si tratta di nove episodi, tra cui la celeberrima Creazione di Adamo, che illustrano i nodi salienti della creazione del mondo e della storia dei primi uomini, così come raccontati dalla Bibbia.

Michelangelo, Volta della Sistina, 1508-12. Affresco, 13,41 x 40,93 m. Roma, Palazzi Vaticani.
Michelangelo, Volta della Sistina, 1508-12. Affresco, 13 x 36 m. Roma, Palazzi Vaticani.
Scene della Genesi (dal basso verso l’alto nella foto): Separazione della luce dalle tenebre (Genesi 1, 1-5),1512; Creazione degli astri e delle piante (Genesi 1, 11-19), 1511-12; Separazione della terra dalle acque (Genesi 1, 9-10),1511-12; Creazione di Adamo (Genesi 1, 26-27), 1511; Creazione di Eva (Genesi 2, 18-25), 1510; Peccato originale e Cacciata dal Paradiso Terrestre (Genesi 3, 1-13, 22- 24), 1510; Sacrificio di Noè (Genesi 8, 15-20), 1508-10; Diluvio Universale (Genesi 6, 5-8, 20), 1508; Ebbrezza di Noè (Genesi 9, 20-27), 1508.
 
Profeti e Sibille (dall’alto e in senso orario): Profeta Zaccaria; Sibilla Delfica; Profeta Isaia; Sibilla Cumana; Profeta Daniele; Sibilla Libica; Profeta Giona (non inquadrato nella foto); Profeta Geremia; Sibilla Persica; Profeta Ezechiele; Sibilla Eritrea; Profeta Gioele.
 
Antenati di Cristo (nelle vele triangolari e nelle lunette): a partire da Abramo secondo l’ordine fornito all’inizio del Vangelo di Matteo (1, 1-17). Eroi di Israele (nei pennacchi angolari, da sinistra in alto e in senso orario): David che abbatte Golia; Giuditta che decapita Oloferne; Il serpente di bronzo; La punizione del malvagio Aman.

I nove episodi sono suddivisi in tre gruppi di tre: Storie della Creazione, Storie dei progenitori e Storie di Noè. Le scene sono disposte in ordine cronologico, partendo dalla parete dell’altare. Scorrono sulla volta i più celebri episodi dell’Antico Testamento, come la Divisione della luce dalle tenebre, il Peccato originale e la Cacciata, il Diluvio universale. Non sono un’illustrazione letterale del testo sacro, piuttosto una sua meditata interpretazione.

Michelangelo, La creazione di Adamo, dalla Volta della Sistina.
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Michelangelo, Peccato originale, dalla Volta della Sistina.

Gli Ignudi

Accanto alle Storie della Genesi, collocate all’interno di cinque riquadri piccoli e quattro grandi alternati, dieci coppie di Ignudi, simboli dello stato razionale dell’anima secondo l’interpretazione neoplatonica (oppure angeli senza ali, secondo una parte della critica), reggono medaglioni figurati in monocromo con Scene dal Libro dei Re. Questi venti Ignudi, giovani nudi, dalla possente muscolatura e variamente atteggiati, con pose e torsioni anche molto difficili, sarebbero diventati modelli d’ispirazione incontrastati per generazioni di artisti e fotografi a seguire, praticamente fino ai nostri giorni.

Michelangelo, due Ignudi, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Ignudo, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Ignudo, dalla Volta della Sistina. 
Michelangelo, Ignudo, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Ignudo, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Ignudo, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Ignudo, dalla Volta della Sistina.
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I profeti, le sibille, gli antenati di Cristo

Ai lati della volta troviamo sette Profeti e cinque Sibille, che avevano previsto la venuta di Cristo, disposti alternativamente in quest’ordine: Zaccaria, Gioele, Sibilla Delfica, Sibilla Eritrea, Isaia, Ezechiele, Sibilla Cumana, Sibilla Persica, Daniele, Geremia, Sibilla Libica, Giona. Le loro figure siedono su troni in ardite e drammatiche torsioni e sono realizzate senza artificio prospettico, ossia senza essere scorciate dal basso. Le lunette che incorniciano le finestre e le otto vele triangolari disposte lungo le pareti maggiori ospitano, invece, gli Antenati di Cristo, a partire da Abramo. Le lunette, che un tempo erano cinque su ogni lato lungo e due su ogni lato corto, oggi sono solo dodici: Michelangelo stesso ne cancellò due sulla parete dell’altare dove dipinse, anni dopo, il suo Giudizio Universale.

Michelangelo, Giudizio Universale, 1536-41. Affresco, 13,7 x 12,2 m. Roma, Palazzi Vaticani, Cappella Sistina.
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L’identificazione dei singoli personaggi contenuti nelle vele è estremamente complessa; i gruppi solitamente sono in numero di tre: uomo, donna e bambino, quindi secondo alcuni, una possibile allusione alla Sacra Famiglia. Nelle lunette sono invece identificati con i loro nomi, incisi su targhe al centro di ciascun episodio.

Nei quattro pennacchi angolari della volta, gli Eroi di Israele salvano il popolo ebraico. Gli episodi trattati sono Giuditta e Oloferne (Giuditta 13,1-10), Davide e Golia (1 Samuele 17,1-54), Punizione di Aman (Ester 7,1-10), Serpente di bronzo (Numeri 21,1-9).

Michelangelo, Profeta Gioele, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Profeta Geremia, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Profeta Daniele, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Sibilla Libica, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Sibilla Eritrea, particolare, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Lunetta con Eleazar e Mathan, dalla Volta della Sistina. 
Michelangelo, David e Golia, dai pennacchi della Volta della Sistina.
Michelangelo, Giuditta e Oloferne, dai pennacchi della Volta della Sistina.

Dio Padre

Il grande, indiscusso protagonista della Volta michelangiolesca è indubbiamente Dio Padre, il Creatore, la prima Persona della Trinità, che campeggia maestoso e solitario nelle scene della Genesi. Ancora oggi, pensando al Padre, si è portati istintivamente a identificarlo con il volto del Dio di Michelangelo.

Michelangelo, La creazione di Adamo, dalla Volta della Sistina. Particolare con Dio Padre.

L’invenzione di questa iconografia, in verità, non è del Buonarroti. All’inizio del Cristianesimo, Dio Padre era rappresentato per mezzo di simboli, come quello di una mano destra che esce in cielo dalle nuvole. In età romanica, si scelse d’identificare il Padre con il Figlio, rappresentandoli allo stesso modo: Dio aveva quindi il volto e il corpo di Cristo e, spesso, anche i suoi attributi iconografici, come l’aureola crociata.

Duomo di Monreale, Creazione del Cielo e della Terra, 1180-90.
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Lo ritroviamo in questa forma in tutti gli episodi della Creazione raffigurati a mosaico nelle grandi basiliche d’influenza bizantina, come per esempio il Duomo di Monreale presso Palermo. Solo a partire dall’XI-XII secolo, Dio Padre cominciò ad assumere l’aspetto di un energico vecchio barbuto e dalla lunga chioma. L’esempio più celebre di questa nuova iconografia, e che certamente anche Michelangelo scelse a modello, è quello della Trinità di Masaccio nella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze. Ma nessun Dio, nella storia dell’arte intera, ha mai raggiunto la possanza, la terribile autorevolezza, l’incontenibile energia e, nel contempo, l’amorevole sguardo del Padre michelangiolesco della Sistina.

Masaccio, La Trinità, 1427. Affresco, 6,67 x 3,17 m. Firenze, Basilica di Santa Maria Novella.
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Michelangelo, La creazione di Adamo, dalla Volta della Sistina. Particolare del volto di Dio Padre.

Le due fasi del lavoro

Le Storie della Volta furono dipinte da Michelangelo procedendo da est verso ovest, cioè in maniera contraria rispetto al loro sviluppo cronologico. Il lavoro venne diviso in due fasi, prendendo una pausa tra una e l’altra: la prima impegnò Michelangelo dal 1508 al 1510, la seconda dall’agosto del 1511 al 1512. Al termine della prima fase, il grandioso ponteggio sospeso, che occupava solo metà della cappella (fissato a muro all’altezza delle finestre, un vero gioiello di ingegneria), venne smontato e rimontato dall’altra parte.

Passando da una fase di lavoro all’altra, Michelangelo (dopo aver visto dal basso gli affreschi già eseguiti) meditò profondi cambiamenti. Le scene dipinte entro il 1510 sono infatti affollate da figure piuttosto piccole; quelle successive, corrispondenti sostanzialmente agli episodi della Creazione, diventano progressivamente più sintetiche ed essenziali, dominate da pochi protagonisti che giganteggiano in uno spazio quasi astratto. La discontinuità stilistica tra una fase e l’altra appariva assai evidente ma all’artista non importò. Michelangelo era così rapido nella propria evoluzione artistica e creativa che solo dopo due anni aveva già reputato superate le proprie scene appena concluse.

Michelangelo, Diluvio universale, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Creazione degli astri e delle piante, dalla Volta della Sistina.

I colori di Michelangelo

La Volta della Sistina è una visione sottratta al controllo dei sensi e affidata unicamente al più sicuro dominio dell’intelletto. Le scene non sembrano illuminate dalla luce naturale; allo stesso modo, i colori metallici, cangianti e squillanti, con i loro accostamenti stridenti, sono lontani da qualsiasi verosimiglianza. Questi colori michelangioleschi, già presenti nel Tondo Doni dell’artista, rappresentarono un fatto assolutamente nuovo per quel tempo.

La pittura di Leonardo e di Raffaello, per esempio, era pervasa da un senso di calda armonia e di piacevole vivacità; Michelangelo vi oppose una cromia da vetro soffiato, con colori giustapposti in modo talvolta stridente e cangianti nei punti di luce: il rosso cambia in giallo o in verde, il giallo in viola. Anche il chiaroscuro ha soprattutto il compito di accentuare la plasticità delle forme e le ombre non sono naturali ma sembrano attributi delle singole figure.

 

Michelangelo, Tondo Doni, 1507. Tempera su tavola, diametro 1,2 m. Firenze, Uffizi.
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La mancanza di prospettiva

L’architettura dipinta, infine, non è prospettica né illusionistica: le mensole su cui poggiano i nudi e i troni su cui siedono i profeti e le sibille non convergono, infatti, verso un unico punto di fuga. Michelangelo dipinse molte figure della Sistina in scorci magnifici e spesso virtuosistici, usando la torsione dei corpi per accentuare il senso del volume, ma non fece mai propriamente ricorso alla prospettiva albertiana, che è uno strumento per la rappresentazione credibile del vero, ed evitò, per quanto possibile, di rappresentare paesaggi. Per lui, l’arte mimetica era inutile.

«Questa pittura [di paesaggio] – disse – si compone di drappi, di casupole, di verdure campestri, di ombre, di alberi, di ponti e ruscelli, ed essi chiamano ciò paesaggio, con qualche figurina qua e là. E tutto questo, che passa per buono per certi occhi, è in realtà senza razione […] senza simmetria, né proporzione, senza discernimento, né scelta». L’arte, secondo Michelangelo, costituiva prima di tutto un problema etico, ossia morale, e riguardava l’attività umana valutabile con il criterio di distinzione fra bene e male.

Michelangelo, Testa virile, particolare della Lunetta di Aminadab, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, presunto autoritratto, particolare della Lunetta con Azor e Sadoch, dalla Volta della Sistina.

Michelangelo e Botticelli

In questo senso, l’unico artista rinascimentale cui Michelangelo può essere accostato è il neoplatonico Botticelli, il quale, come Buonarroti, produsse un’arte intellettuale e marcatamente idealizzata. Tuttavia, la pittura botticelliana aveva perseguito un ideale puramente estetico, aveva aspirato al bello e a null’altro. Per Michelangelo, al contrario, l’ideale deve essere raggiunto attraverso l’impegno personale contro l’ostacolo della realtà fisica, la lotta individuale contro tutto ciò che è contingente, la volontà e l’azione eroica in difesa dello spirito. In tal senso, Michelangelo può davvero considerarsi come il primo grande capostipite dell’arte moderna.

Michelangelo, Divisione della luce dalle tenebre, particolare di Dio creatore, dalla Volta della Sistina.
Michelangelo, Separazione della terra dalle acque, particolare di Dio creatore, dalla Volta della Sistina.


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