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Andy Warhol reinterpreta la Venere di Botticelli
La dea diventa diva.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Opere, artisti e movimenti – Data: Novembre 8, 2019 0 commenti 3 minuti
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Nel 1984, Andy Warhol (1928-1987), celebrato e incontrastato maestro della Pop Art americana, dedicò una serie di serigrafie alle opere più famose del Rinascimento italiano. Tra queste, la Venere di Sandro Botticelli. Si tratta della riproduzione del solo viso della dea, direttamente tratto dal dipinto per mezzo di una fotografia e ricolorato con colori shoccanti, come l’azzurro, il verde, il giallo, il rosa e il viola (ne abbiamo perfino una versione black), con i capelli mossi dal vento che disegnano arabeschi preziosi contro lo sfondo uniforme. Andy Warhol reinterpreta la Venere di Botticelli

Botticelli, Nascita di Venere, 1482-85. Tempera su tela. Firenze, Uffizi. Particolare di Venere.

L’operazione artistica condotta dal maestro della Pop Art può risultare irriverente e provocatoria ed essere percepita perfino oltraggiosa, perché sembra contaminare la perfetta e intangibile bellezza del capolavoro rinascimentale, sciuparne l’immagine quasi sacralizzata con quei colori così forti. Non è così e non fu questo il suo intento.

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Andy Warhol, Venere, dal ciclo Details of Renaissance Paintings (Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1482), 1984. Serigrafia e inchiostro su tela.

Non è stato certo Warhol ma la nostra moderna società a consumare l’arte, e continua a farlo, velocemente e spesso in maniera superficiale. Quanti hanno visto l’originale della Nascita di Venere? E quante centinaia di turisti, che hanno il privilegio di ammirare l’opera agli Uffizi, si soffermano qualche minuto in più oltre l’occhiata fuggevole e ammirata e il selfie di rito (oggi, perché ai tempi di Warhol non si usava ancora)?

Andy Warhol, Venere, dal ciclo Details of Renaissance Paintings (Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1482), 1984. Serigrafia e inchiostro su tela.

Warhol aveva sempre amato molto Botticelli. Sin da prima di diventare artista, quando ancora lavorava come pubblicitario, aveva imparato ad apprezzare il valore della linea e del disegno, elementi costitutivi dell’arte botticelliana così come della grafica moderna. Lo stile del grande maestro fiorentino gli era sempre risultato congeniale. Ma negli anni Ottanta, dopo così tante opere pop, le centinaia di ritratti e di riproduzioni di oggetti, dalla Coca-cola alle lattine di zuppa Campbell, non era stato solamente un condivisibile gusto artistico a spingerlo ad affrontare il soggetto della Venere botticelliana.

Andy Warhol, Venere, dal ciclo Details of Renaissance Paintings (Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1482), 1984. Serigrafia e inchiostro su tela.

Warhol, infatti, non era nuovo a questi esperimenti. Aveva e avrebbe riprodotto in molte versioni anche la Monna Lisa di Leonardo, trattandola allo stesso modo di ognuna delle molte star del cinema, della politica, della cronaca, della moda e della musica, come Marilyn Monroe per esempio, che aveva ritratto con il suo spumeggiante e coloratissimo linguaggio pop. Mondialmente nota, l’immagine della Venere di Botticelli (al pari della Gioconda) si poneva ormai come un mito di massa e una icona commerciale: come a dire che pure i grandi capolavori del passato, riprodotti da (e continuamente riproposti su) poster, cartoline, giornali, riviste, copertine di libri, magliette, borse, cinema e Tv, erano equiparabili ai tanti protagonisti del mondo dello spettacolo e del jet set internazionale. La dea si era già trasformata, definitivamente, in diva. Warhol ne prese solo atto.

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Andy Warhol, Marilyn Monroe, 1967. Serigrafia e inchiostro su tela, 91,5 x 91,5 cm. New York, Andy Warhol Foundation.


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